Una promessa senza fine

Sono trascorsi ventuno giorni dall’inizio del progetto #PromessaMantenuta di Kinder Cereali (per gli approfondimenti potete leggere "Quando si diventa famiglia" e "Un uomo di parola"), sono passati così velocemente da farmi perdere più volte la cognizione del tempo, convinta che quel pulsantone rosso sulla mensola della cucina fosse lì da sempre seppur da poco. È questo il momento giusto per trarre le dovute conclusioni, per ricapitolare i momenti che hanno fatto diventare la promessa suggellata da Pietro tre settimane fa una sana e buona abitudine, con un significato molto più ampio.
 
È difficile riassumere tutto senza sorridere di questi giorni, per me che sono stata un’attenta spettatrice dal posto d’onore riservatomi, un divano che non è mai stato così comodo e accogliente, tempo che ho dedicato a me stessa mentre il marito diligente si prodigava nel lavaggio dei piatti, con un occhio sempre attento a sventare le marachelle di Lavinia, inarrestabile nei suoi quindici mesi. 



Siamo quelli che nel più classico dei luoghi comuni potrebbero essere definiti “una coppia di vecchia data”, ci conosciamo da quando i cellulari erano un bene di lusso posseduto da pochissimi e stiamo insieme dall’anno in cui Steve Jobs ha presentato l’oggetto che avrebbe rivoluzionato la telefonia mobile. Questo per farvi capire da quanto tempo condividiamo gioie e dolori, pranzi e cene, viaggi e poltrone, sembra un’epoca fa e in realtà sono meno di dieci anni. Lasso di tempo sufficiente, però, per comprendere che non si consolida una relazione senza una sana analisi di se stessi, di quello che si vuole e di quello che ci si aspetta dall’altro, facendo bene attenzione a non ricadere nell’errore di convincersi che quest’ultimo aspetto sia invece “quello che gli altri ti persuadono tu ti debba aspettare”.

Io e Pietro lavoriamo, abbiamo una figlia e le famiglie lontane, nessun aiuto se non quello di fare affidamento su noi stessi. Viviamo insieme da sempre, non abbiamo mai discusso per un calzino abbandonato sul pavimento o per le mie creme sparse in bagno, non perché non si sia presentata l’occasione di farlo, ma perché nella nostra idea di coppia ci sono aspetti più importanti della rivendicazione di questi che riteniamo essere dettagli di poco conto. Se lui riesce a fare il bucato ben venga, altrimenti lo faccio io; se nessuno dei due ce la fa perché impegnato con il lavoro o con la piccola di casa vorrà dire che indosseremo gli abiti abbandonati nell’armadio dagli anni ’90. Non ci sono faccende domestiche tanto urgenti da giustificare litigi e malumori, ci sono mariti più collaborativi di altri, ma stento a credere che la poca partecipazione dell’uomo sia la negazione cosciente di un aiuto.

La promessa di lavare i piatti per ventuno giorni è stata mantenuta da Pietro con felicità e un pizzico di orgoglio, lui che cucina da che ho memoria e che i piatti li lava spesso, anche senza un pulsante da premere per dimostrarlo. Ciò che, invece, ha voluto raccontare con questo gesto è che la collaborazione è fondamentale non solo per gestire la routine famigliare, ma anche per lasciare spazio all’altro di fare tutto quello che non è prioritario nell’investimento del poco tempo che abbiamo a disposizione quando siamo da soli. Sono una donna e sono una madre, sono per fortuna e mio malgrado subissata d’impegni e responsabilità, sono stanca e felice, mi guardo intorno e vedo Lavinia accanto a Pietro e so che piatti da lavare o no la promessa che leggo nei suoi occhi non è destinata a finire.

Post in collaborazione con Kinder Cereali

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